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La letteratura, i movimenti letterari, gli scrittori ci danno una "interpretazione gastronomica" diversa rispetto a quella meramente documentaria e storica. Negli anni Trenta "Il Manifesto della cucina futurista" per esempio si servì del cibo come strumento di rottura per inaugurare "una vita sempre più aerea e veloce". La spettacolarizzazione o vetrinizzazione della cucina ha raggiunto il suo culmine nell'ultimo decennio, nutrendo l'immaginario del nostro gusto, sempre avido di nuove metafore, immagini e segni. Compito della comunicazione è svelare i segni nascosti nelle cose stesse, anche sui cibi e gli alimenti, servendosi dell'arte (dai fiamminghi a Andy Warhol) per edulcorare il reale con la seduzione dell'immagine pittorica o pubblicitaria. Malgrado tutto, il segno, come valore cosmetico, fatica a prescindere non solo dalla materia prima, ma anche dagli aspetti umani e relazionali che esso veicola. Termini di straordinaria ricchezza semantica, come "banchetto" e "convivialità", assumono pertanto in letteratura e nelle arti significati e funzioni molteplici e diventano, per dirla con Camporesi: "sensibile strumento per l'esportazione concreta non solo del reale, ma anche del profondo: uno dei molti occhi che la meditazione degli uomini ha inventato per spiare nel cuore della "scienza del vissuto", dentro le funzioni non visibili della vera natura umana".